«Nel 1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismo e io. Di tutti e tre sono rimasto solo io». Cosi affermava il Divo Giulio. E’ vero all’inizio del secolo scorso il nostro Paese dava il via alla sua nuova storia verso il cammino della democrazia e della repubblica.
Andreotti rispettoso dell’istituzione famiglia già da giovanissimo dimostrò la sua serietà e riconoscenza degli sforzi fatti da sua madre per farlo studiare e crescere timorato da Dio.
Egli stesso raccontava: « Mia madre è rimasta vedova giovanissima. Con mio fratello maggiore e mia sorella più grande, che morì appena si iscrisse all’università, vivevamo presso una vecchissima zia, classe 1854, nella casa nella quale io sono nato. – e ancora – « Appena presa la licenza liceale, fu doveroso per me non gravare più su mia madre, che con la sua piccola pensione aveva fatto miracoli per farci crescere, aiutata soltanto dalle borse di studio di orfani di guerra. Rinunciai, in fondo senza rimpianti eccessivi, a scegliere la facoltà di Medicina, che comportava la frequenza obbligatoria; mi iscrissi a Giurisprudenza e andai a lavorare come avventizio all’Amministrazione Finanziaria »
Così il “Divo Giulio” si laureò il 10 novembre del 1941 a pieni voti.
Forti emicranie, e la sua gracile costituzione fisica, facevano intravedere una fine a breve poco felice ma al contrario, come tutti sappiamo Giulio è arrivato a 94 anni.
E sulla questione salute, egli diceva ironicamente così: giustificò infauste previsioni che Andreotti ricorda così:
« Aiutato dal mio carattere ad apprezzare anche il lato comico delle vicende, dimenticai presto la terribile prognosi del medico militare del Celio Ricci, che, dichiarandomi non idoneo al corso allievi ufficiali («oligoemia e deperimento organico») aveva aggiunto il pronostico che a suo giudizio non mi restavano più di sei mesi prima di passare a vita migliore»
Nel 1954 diventò ministro, forte anche del suo largo consenso elettorale per aver mostrato sempre la sua vicinanza ai bisogni della gente. Giulio Andreotti nella DC rappresentava l’ala più conservatrice e clericale in contrapposizione con chi voleva l’alleanza con il centrosinistra, come Moro e Fanfani.
Ma la sua forte entratura in Vaticano e le sue ottime relazioni internazionali, specie con gli Stati Uniti lo hanno praticamente scudato e reso invincibile.
Cosicché nel 1972 diventa presidente del Consiglio. Ma fu la presidenza della storia repubblicana più breve. Anche in questo va detto che Andreotti detiene il primato. Infatti durò solo 9 giorni, dalla fiducia alle dimissioni.
Ma questo non scoraggiò Andreotti e infatti negli anni successivi ha guidato per altre sei volte la Presidenza del Consiglio e numerose volte Ministro.
Fu anche l’uomo che guidò i governi di solidarietà nazionale per far uscire il Paese da temporanee crisi, perché era un grande mediatore politico che con la sua astuzia e capacità “penelopee” riusciva a tessere complicate tele e a mettere insieme i cocci di tanti vasi rotti.
Con le sue storiche citazioni: «il potere logora chi non ce l’ha» e che «a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina», dimostrava come bisognava destreggiarsi nella complicata vita di chi deve gestire il potere.
Successivamente fu nominato Senatore a vita.
Andreotti è stato oggetto anche di accuse, a mio giudizio infamanti, su coinvolgimenti con “Cosa Nostra” e addirittura accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Pecorelli e altre spiacevoli vicende giudiziarie poco chiare, da cui il Senatore a vita se ne è sempre uscito affrontando pacatamente i processi e fiducioso dei risultati.
L’assurdità del nostro sistema giudiziario che molto spesso usato per motivi politici non dà conto della storia e né tanto meno della posizione in cui si trova un alto dirigente dello stato che, non ci nascondiamo dietro un dito, a volte si deve barcamenare tra mille rivoli che girano intorno al potere politico ed economico legato a lobby finanziarie e di interessi internazionali, nonché di geopolitica.
La verità, quindi, era che nella sua posizione, come tutti quelli che lo hanno preceduto e successivi a lui, conosceva i misteri del potere e della sua epoca particolare, sicuramente leciti e anche censurabili. Ed è naturale e apprezzabile, che da uomo di stato, riteneva che certe cose “non bisogna dirle”, un po’ meno che non “bisogna farle”.
E questo ha fatto si che Andreotti sia da rispettare solennemente per tutto il suo operato in politica. Uno che sapeva fare politica, e non come certi e vari attorini comici e di avanspettacolo che si vogliono far strada nei palazzi della politica (con tutto il rispetto per gli attori e i comici del cinema e teatro).
Quindi è stato oggetto di accuse e sospetti forti. Come ad esempio anche a proposito delle sue relazioni con la loggia P2, oltre a Cosa Nostra,e con alcuni individui legati ai più oscuri misteri della storia repubblicana.
E solo per questo non hanno consentito a Giulio Andreotti di diventare uno dei Presidenti della nostra Repubblica.
La sua immagine fu danneggiata e allora quando nel 1992, scaduto il mandato del dimissionario Francesco Cossiga come Presidente della Repubblica, la candidatura di Andreotti sembrava destinata ad avere la meglio finché, durante i giorni delle votazioni di maggio, la strage di Capaci orientò la scelta dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro.
Che dire di più?
Nient’altro, solo che è andato via un’altro importante pezzo della storia italiana. E a me sinceramente mi ha fatto venire “un magone”, quasi come mi fosse morto un parente caro.
Andreotti è sempre stato un punto di riferimento per chi come me ha la passione per la politica, per chi come me ama il nostro Paese e piange ogni giorno guardando che va alla deriva perché prima di tutto sono venuti a mancare uomini dalla statura politica come Giulio Andreotti.
Arturo Di Mascio