Mps e Santander

da ansa.it

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Riportiamo una notizia di agenzia da ansa.it

Le grandi manovre sul titolo di Banca Mps potrebbero essere il preludio di un riavvicinamento a Rocca Salimbeni degli spagnoli del Santander. Secondo fonti finanziarie proprio dalla Spagna, dove il dossier Mps sarebbe sui tavoli ormai da qualche giorno, ci sarebbero state anche alcune avance per verificare le possibilità di un eventuale prossimo ‘matrimonio’. Sullo stesso fronte, dicono altre fonti, si muoverebbe anche Bnp Paribas, ma il Santander sarebbe più avanti.

In serata però,  Banco Santander “nega” il suo interesse “all’acquisto di Mps”. E’ quanto scrive in una breve nota la banca spagnola a proposito delle voci che lo vorrebbero vicino all’acquisizione del Monte.

Fiamme gialle e calcio

Molti di voi conosceranno il particolare legame tra Arturo di Mascio ed il calcio. Dunque, è arrivato il momento di condividere una notizia de Il Sole 24 Ore scritta ieri. Buona lettura.

La Guardia di Finanza sta eseguendo un decreto di perquisizione e sequestro nei confronti di 64 persone tra cui massimi dirigenti, calciatori e procuratori di squadre di calcio di serie A e B. L’ipotesi di reato è evasione fiscale e false fatturazioni. L’inchiesta è condotta dai pm della procura di Napoli Danilo De Simone, Stefano Capuano e Vincenzo Ranieri, coordinati dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli.

Le Fiamme gialle si trovano, in particolare, negli uffici della sede del Milan per acquisire documenti. I militari si sarebbero presentati a Casa Milan verso le 8.30.

Tra le decine di indagati nell’indagine della procura di Napoli, che ha portato al sequestro di beni per circa 12 milioni, ci sarebbero l’Ad del Milan Adriano Galliani, il numero uno della società partenopea Aurelio De Laurentis, il presidente della Lazio Claudio Lotito, l’ex presidente e ad della Juventus Jean Claude Blanc. Tra i calciatori, indagati anche l’ex attaccante del Napoli Lavezzi e l’ex Giocatore Crespo. Coinvolti, infine, diversi procuratori, tra cui Alessandro Moggi.

Dall’operazione, chiamata “Fuorigioco”, emerge – secondo il procuratore aggiunto di Napoli, Vincenzo Piscitelli – l’esistenza di un radicato sistema finalizzato ad evadere le imposte, posto in essere da 35 società calcistiche di serie A e B nonché da oltre un centinaio di persone fisiche, tra calciatori e loro procuratori. In particolare, il meccanismo fraudolento architettato per sottrarre materia imponibile alle casse dello Stato italiano è stato adottato nel contesto delle operazioni commerciali sulla compravendita di calciatori.

In particolare, i sequestri riguardano «somme di denaro esistenti e disponibili» sui conti correnti di 58 indagati; le perquisizioni sono a carico di 33 tra calciatori e agenti. L’inchiesta coinvolge complessivamente 101 soggetti e 35 società di calcio professionistiche militanti nei campionati di serie A e B per le ipotesi di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. L’indagine ha comportato acquisizioni di documenti in Federcalcio e nei confronti di 41 società di serie A, B e Lega Pro.

Jojob: la startup del carpooling aziendale raccoglie 180mila euro in un mese su SiamoSoci

da jojob.it

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Riportiamo una notizia da Il Sole 24 Ore. Firmato da Biagio Simonetta.

Quando la competizione è tanta, e i competitor possono attingere da investimenti impareggiabili, verticalizzare può essere la strada giusta. O almeno così è stato per quelli di BringMe, startup fondata nel 2011 grazie al supporto di I3P, l’incubatore d’impresa nato nel 1999 all’interno del Politecnico di Torino.

Il loro servizio di car-pooling era troppo simile a quello offerto da Blablacar, con la differenza che il colosso francese viaggiava già su onde di investimenti a otto zeri. Competere e basta sarebbe stato uguale ad uscire dal mercato in pochi mesi. Così, Gerard Albertengo (Ceo di BringMe) e i suoi, decisero di verticalizzare e di concentrarsi esclusivamente sui lavoratori. Da qui è nato Jojob (che ora è anche il nome della startup), un servizio carpooling aziendale che “sfrutta” la norma legata al mobility management, ovvero quella norma che vincola le aziende con oltre 800 dipendenti e gli enti pubblici con più di 300 dipendenti a favorire soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto ambientale.

Un’idea che sembra aver fatto bene a quelli di BringMe. E oggi la startup ha fatto sapere di aver raccolto 180 mila euro attraverso SiamoSoci, piattaforma di equity crowdfunding, luogo di incontro online tra startup e potenziali investitori. «Con il round aperto a novembre su SiamoSoci abbiamo raccolto 180K Euro e nei prossimi giorni firmeremo l’aumento di capitale, dando il benvenuto a nove nuovi soci» ha detto il Ceo Albertengo. Due mesi fa quelli di Jojob avevano lanciato proprio su SiamoSoci una campagna di fundraising allo scopo di raccogliere i capitali necessari alla crescita dell’azienda. Una crescita che ha come obiettivo a medio termine l’internazionalizzazione del servizio. E in meno di 30 giorni la startup ha raccolto 180 mila euro, da 9 investitori privati.

Anche i numeri operativi di Jojob sono interessanti: ad oggi i passaggi fra colleghi sono stati più di 6.000 e hanno coinvolto oltre 50.000 dipendenti tra quelli di aziende come Amazon, Ferragamo, Yoox, Coop, Heineken, Auchan, Bnl, Luxottica.

Jojob è una delle 191 startup che dal 1999 I3P ha incubato mettendo insieme le competenze del mondo dell’imprenditoria con l’expertise generate dal Politecnico. Il consorzio, guidato dal Ceo Marco Cantamessa e dal Coo Massimiliano Ceaglio, nel 2015 ha raccolto investimenti a favore delle startup pari a 15 milioni di euro, sfruttando un momento di grande sensibilità da parte degli investitori professionali – fondi di Venture Capital e Business Angel – e di interesse di investitori privati. Proprio questi ultimi sono i protagonisti del round di Jojob: si tratta di persone che hanno scelto di investire in aziende innovative in alternativa alla Borsa o a prodotti finanziari classici, che oggi vengono percepiti come troppo rischiosi e slegati dall’economia reale.

USA: aumento richieste di sussidio di disoccupazione

Riportiamo un articolo di Yahoo! Finanza. Molti sapranno quanto sono affezionato a New York ed agli Stati Uniti.

Usa/Usa, richieste iniziali sussidi lavoro in rialzo a massimi 6 mesiNew York, 21 gen. (askanews) – Il numero di lavoratori che per la prima volta hanno fatto richiesta per ottenere i sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti è cresciuto la settimana scorsa, toccando il massimo in sei mesi. Il dato, che pure riflette un moderato aumento dei licenziamenti nella prima parte dell’anno, resta comunque in linea con i miglioramenti recenti del mercato del lavoro.

Secondo quanto riportato dal dipartimento del Lavoro, nella settimana conclusa il 16 gennaio, le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono salite di 10.000 unità a 293.000, il massimo da luglio. Il dato resta comunque sotto quota 300.000, un’importante soglia che segnala il buono stato dell’occupazione.

 

Gli analisti attendevano un calo a 277.000 unità, rispetto alle 283.000 della settimana scorsa (rivisto al ribasso dalle 284.000 unità della prima stima).

 

La media delle quattro settimane, più attendibile in quanto non soggetta alle fluttuazioni del mercato, è salita di 6.500 unità a 285.000, il massimo da aprile 2015. Il dato è superiore alla media del 2015, pari a circa 278.000 unità.

 

Il numero complessivo dei lavoratori che ricevono sussidi di disoccupazione per più di una settimana – relativo alla settimana terminata il 9 gennaio, l’ultima per la quale è disponibile il dato – è calato di 56.000 unità a 2,208 milioni.

 

Il salvataggio di Draghi

Oggi un articolo totalmente nostrano che i miei lettori su facebook potranno vedere domani. E forse in questo periodo di grande volatilità per le banche è il caso di rilassarsi un momento leggendo cosa è avvenuto il giorno dopo e fare un raffronto con 24 ore di distanza. Così, anche i meno esperti potranno operare e immaginare una progressione nel tempo.

Una notizia di agenzia riporta nel proprio titolo Tassi fermi per lungo periodo di tempo. Le borse corrono. Si. Ricordiamoci cosa è successo negli ultimi due giorni, con le borse europee in caduta libera e Milano in testa al velivolo in picchiata. L’ennesimo salvataggio di Draghi rimescola tutte le carte. Oggi la sola Piazza Affari guadagna il 3% – dopo il punto percentuale in più avuto in mattinata.

I tassi sono rimasti fermi e resteranno così per un lungo periodo di tempo. Con l’inizio dell’anno i rischi al ribasso sono aumentati di nuovo, c’e’ volatilità ed in questo ambiente l’inflazione resta debole. Alla luce degli sviluppi di inizio anno la Bce rivedrà la propria politica monetaria a marzo. – Mario Draghi

Ma bisogna procedere cauti, perché la volatilità resta altissima e i rischi di investimento in questa fase anche, così scrive Stefano Carrer sulle pagine de Il Sole 24 Ore, ricordandoci anche che la dichiarazione e la scelta della BCE hanno immediatamente fatto scendere lo spread sotto i cento punti.

E probabilmente è divenuto doveroso indicare ai lettori una pessima figura fatta dal nostro premier, riportata su Wall Street Italia da Laura Naka Antonelli:

“Gli analisti con cui parliamo tutti noi, i big, di Jp Morgan e di altre realtà sanno perfettamente che investire in Italia oggi è una ghiotta opportunità. Direttore, investire in Italia è una delle scelte più convenienti oggi: Paese stabile, sistema solido, tensioni geopolitiche altrove. Gli investitori lo sanno”.

È sicuro del fatto suo Renzi, mentre rilascia un’intervista al Sole 24 Ore. Viene però il dubbio che il premier non sia però molto informato sulle novità che arrivano dal mondo della finanza. Cita JP Morgan, ma forse avrebbe fatto meglio a fare un altro nome.

Proprio di qualche giorno fa, infatti, usciva l’articolo di Reuters, dal titolo “Italy bank stocks plunge, brokers say tough 2016 ahead”, ovvero: “Titoli bancari italiani crollano, i broker prevedono un 2016 difficile”. Andrebbe tutto bene, se non fosse che Reuters cita proprio JP Morgan:

“JP Morgan said this month Italian banks should be avoided because low interest rates are expected to put pressure on revenues more than in other countries and credit problems limit a recovery in provisions”, ovvero: “JP Morgan ha detto questo mese che le banche italiane dovrebbero essere evitate, in quanto si stima che i bassi tassi di interesse metteranno sotto pressione i loro ricavi più che in altri paesi e i problemi relativi al credito limiteranno il recupero degli accantonamenti”.Draghi,Ue fatto passi avanti ma ancora dubbi su futuro

Europa: USA, non vi temo

Yahoo riporta una importante opinione, oggi, grazie a Rossana Prezioso:

Le Banche Centrali guidano il mercato, ormai è chiaro e palese a tutti. Oggi se n’è avuto un esempio partendo proprio dalla richiesta fatta dalla Bce (Toronto: BCE-PA.TOnotizie) alle banche italiane per riuscire a capire lo stato effettivo dei crediti in sofferenza, richiesta che ha creato tensioni in realtà già presenti ma che sono uscite prepotentemente allo scoperto.

Tra Fed e Bce

La Bce per molti è stato il trampolino che ha permesso ai mercati europei di riacquistare un po’ di serenità dopo i travagliati momenti che hanno visto la Grecia come protagonista e l’euro a rischio dissolvimento. Eventualità che è stata esclusa sia grazie a una serie di provvedimenti di politica monetaria ma anche grazie alla scelta storica di un Quantitative Easing europeo sulla falsariga di quello statunitense proprio mentre dagli Usa la politica del taglio dei tassi e dei rendimenti a zero giungeva al termine. Ecco allora che dopo anni di politiche accomodanti e svalutazioni più o meno competitive le due grandi protagoniste, Fed e Bce vedono le loro strade dividersi: da una parte la Federal Reserve decisa a voler intraprendere una strada di normalizzazione che però dovrà anche tener conto delle sempre più numerose incognite presenti sui mercati internazionali, dall’altra invece la Bce che, conscia di una situazione ancora pericolante e irta di difficoltà tra le mura del Vecchio Continente è disposta a prolungare la sua strategia di stimolo anche oltre il marzo del 2017, ultima data annunciata come termine del QE in parallelo, per quanto non ancora ufficializzato, a possibili implementazioni anche sul fronte della quantità di liquidità immessa

La view di  La Financière de l’Echiquier

Ed è da questo punto che parte il commento mensile di La Financière de l’Echiquier che paragona il movimento di rialzo dei tassi USA alla guerra del tenente Drogo ne Il Deserto dei Tartari ovvero sempre annunciato e mai avvistato. Almeno fino a quello storico 16 dicembre del 2015 quando Janet Yellen ha dato l’annuncio. Poco prima Draghi aveva spostato invece il termine ultimo di chiusura del QE dal settembre del 2015 a marzo del 2016, con la prima conseguenza, come fanno notare a La Financière de l’Echiquier, di un -8% dell’euro contro il dollaro dopo il rimbalzo di ottobre che lo aveva portato a 1,15. Per quanto riguarda l’andamento dei mercati obbligazionari per loro i tassi a lungo termine statunitensi tenderanno al rialzo mentre in Europa, caso raro, si avrà una permanenza dei tassi bassissimi i quali non saranno influenzati dal trend statunitense il quale semmai, potrebbe essere trascinato al ribasso sull’andamento dei tassi, una causalità che si è evidenziata, secondo La Financière de l’Echiquier dal 2014  il che evidenzia una leadership del mercato europeo che resta comunque forte vista la possibilità di avere vita propria e di restare impermeabile alle influenze Usa.

da italiamagazineonline.it

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Si al referendum sulle trivelle

Dovremmo presto prepararci a votare riguardo questi costosissimi macchinari per la trivellazione, secondo questa notizia di agenzia ANSA:

 

ROMA – La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle: il quesito riguarda la durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate. A proporlo sono nove Consigli regionali. Questo stesso quesito era già stato dichiarato ammissibile dalla Cassazione.

I quesiti referendari proposti erano in tutto sei. In un primo tempo l’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti. Ma il governo ha introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità che hanno messo mano alla materia, ribadendo il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia mare. La Cassazione ha dovuto quindi nuovamente valutare i referendum e a quel punto ne ha ritenuto ammissibile solo uno, il sesto: il quesito riguarda nello specifico la norma che prevede che i permessi e le concessioni già rilasciati abbiano la “durata della vita utile del giacimento”.

Oggi c’è stato l’esame della Corte Costituzionale, che pure ha ritenuto ammissibile solo questo referendum, per l’abrogazione della norma. In un primo tempo le Regioni promotrici erano dieci, ma nei giorni scorsi l’Abruzzo ha scelto una diversa strategia e ha abbandonato la campagna referendaria

Trivelle: Consulta, un referendum ammesso, 5 improcedibili
La Corte Costituzionale nella seduta di oggi ha dichiarato ammissibile la richiesta di un referendum e improcedibili altre cinque richieste in materia di ricerca, prospezione e trivellazioni marine. Lo rende noto un comunicato della Consulta. Per questi ultimi cinque quesiti, la Corte Costituzionale non ha potuto che prendere atto della pronuncia dell’Ufficio centrale per il Referendum della Cassazione che aveva dichiarato “non hanno più corso le operazioni concernenti‎ le prime cinque richieste referendarie”, dichiarando conseguentemente l’estinzione del giudizio. Il quesito ammesso è l’unico del quale l’Ufficio centrale per il Referendum ha affermato la legittimità sulla base della normativa sopravvenuta (la Legge di Stabilità 2016). Nella nuova formulazione il referendum viene pertanto ad incentrarsi sulla previsione che le concessioni petrolifere già rilasciate durino fino all’esaurimento dei giacimenti, in tal modo prorogando di fatto – come rilevato dall’Ufficio centrale per il Referendum – i termini già previsti dalle concessioni stesse. La sentenza sarà depositata entro il 10 febbraio, come previsto dalla legge.

da ansa.it

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Costo petrolio e costo carburante: quale verità

Maximilian Cellino ha espresso un’opinione molto valida sulle pagine del Sole 24 Ore:

Il prezzo del petrolio e quello della benzina
I valori che si leggono ogni giorno sugli schermi dei trader fanno in realtà riferimento al prezzo della materia prima, che deve essere raffinata prima di diventare carburante. Esistono quindi costi industriali che sono comprimibili fino a un certo punto, e che verosimilmente non sono diminuiti in questi ultimi mesi. Ma non basta: a questi vanno aggiunti costi per la ricerca, l’operatività, l’estrazione, la distribuzione (alla rete va circa il 7% del prezzo finale) e anche le tasse e i margini di profitto che le compagnie vogliono mantenere. “Al contrario di quanto molti pensano – sottolinea Stefano Giudici, Digital Marketing Manager di MoneyFarm.com – questi ultimi non influiscono troppo sui costi data la forte competizione sul prezzo. Essi servono però a coprire i costi di gestione e di marketing, perché sebbene il petrolio sia un bene praticamente di prima necessità, al momento la produzione supera la domanda e quindi le case petrolifere devono combattere per accaparrarsi fette di mercato”. In ogni caso si tratta di voci di costo che costituiscono una sorta di “zoccolo duro” che impedisce ai prezzi alla pompa di adeguarsi in pieno a quelli del barile.

La componente Valutaria

Il prezzo del barile è sceso sotto ai trenta dollari. Dollari appunto, non euro, che è la valuta in cui noi paghiamo ogni giorno il distributore. Il biglietto verde però si è rafforzato in misura notevole negli ultimi anni, anche nei confronti del nostro euro. Ne consegue che l’effetto del crollo del prezzo del greggio viene in parte mitigato quando lo si vede con gli occhi di chi sta all’interno dell’Unione europea. Se il barile di petrolio ha perso l’80% del suo valore dai picchi del 2008 (e oltre il 40% negli ultimi tre mesi), l’impatto ricalcolato in euro è un po’ inferiore (comunque il 70% se si ragiona rispetto ai massimi storici).

Annosa questione accise

Gli italiani vedono come il fumo negli occhi le tasse, si sa. Ma nel caso della benzina forse non hanno tutti i torti, perché la componente fiscale da versare allo Stato quando ci si ferma dal benzinaio è davvero salata: tasse e accise pesano in Italia circa il 70% sul prezzo finale, e questo segna gran parte della differenza fra il nostro Paese e altri in Europa. Il caso delle accise (che sono fisse, e quindi pesano in proporzione automaticamente di più quando il prezzo si riduce) è forse il più emblematico e si presta in modo particolare e ben si presta alle recriminazioni e alle lamentele dei consumatori.

Sono infatti ancora attive quelle per finanziare la guerra d’Etiopia del 1935-36, così come quelle per il disastro del Vajont o il terremoto del Belice, anche se per via dell’inflazione hanno oggi un impatto irrisorio. Quelle introdotte nel 2011 in piena crisi del debito contano invece per quasi per 14 centesimi al litro e spiegano in gran parte, assieme all’aumento dell’Iva dal 20 al 22%, perché oggi il prezzo del gasolio sia ancora superiore all’euro a differenza di quanto avveniva nel gennaio 2009 quando il barile di greggio viaggiava comunque sopra i 30 dollari. “Anche se il prezzo del petrolio fosse gratuito e le case di distribuzione come Eni non facessero pagare la consegna senza generare profitto, fare benzina costerebbe comunque più di 50 centesimi al litro”, conferma Giudici. Lo stato fa cassa con i consumi di carburante degli italiani: non è certo una novità.

da ilsole24ore.com

da ilsole24ore.com

Aforismi e citazioni sul trading e l’investimento

da forexinfo.it

da forexinfo.it

Forexinfo.it ci propone un tema simpatico che non volevamo perdere. Rimanendo sull’onda dell’articolo precedente, vi proponiamo un tema che è realmente al limite dell’intrattenimento. Stavolta.
Ci auguriamo però di alimentare la vostra crescita personale. L’articolo è di seguito, vi auguriamo una buona lettura.

Quali sono gli aforismi più famosi sul trading e sul mondo dell’investimento?

Gli aforismi sul trading e sul mondo dell’investimento sono un ottimo modo per sfruttare la conoscenza dei grandi trader internazionali.

Nell’investimento nel mercato del Forex, ma anche nell’azionario e nel mercato delle materie prime, non esistono verità assolute o certezze, ma i trader più famosi al mondo hanno condiviso pillole di saggezza collettiva molto utili ai piccoli investitori per non dimenticare come raggiungere il successo nel trading.

Quindi, per arricchire la nostra conoscenza personale sul mondo del trading e dell’investimento, possiamo analizzare le frasi e le citazioni famose pronunciate dai grandi trader di successo.

Quali sono le citazioni più famose pronunciate dai più grandi trader internazionali? Di seguito troverete un elenco di alcuni degli aforismi più conosciuti riguardanti il trading e l’investimento, che potranno esservi utili per migliorare il vostro approccio verso i mercati finanziari.

Aforismi sul trading e sull’investimento: ecco i più famosi

Ecco i migliori aforismi sul trading e le citazioni dei grandi investitori che, pur non garantendo il successo, sicuramente ci spingeranno a riconsiderare alcune strategie e a continuare nella giusta direzione.

Partiamo con una delle citazioni più famose pronunciate da Warren Buffet, l’imprenditore ed economista statunitense considerato il più grande value investor di sempre:

“Se non riesci a guardare le azioni che detieni scendere del 50% senza farti prendere dal panico, non dovresti stare nel mercato azionario”.

Certo, Buffett potrebbe sopportare una perdita simile, ma la maggior parte degli operatori e degli investitori no, quindi la regola è: “mantieni la dimensione di ciascuna delle posizioni abbastanza piccola da poter dormire la notte”.

George Soros, imprenditore ed economista ungherese, ha pronunciato questa frase sul mondo dell’investimento. Siete d’accordo con lui?

“Non è importante che tu abbia ragione o torto, ma quanti soldi si fanno quando hai ragione e quanto si perde quando si ha torto”.

Tra le altre frasi famose sul mondo del trading segnaliamo questa si Bruce Kovner, trader di successo che partendo da poche centinaia di dollari è riuscito a guadagnare più di 300 milioni all’anno.

“I trader principianti aprono posizioni da 5 a 10 volte più grandi. Si prendono dal 5 al 10% di rischio che dovrebbe essere in realtà dell’1-2%”.

Nassim Nicholas Taleb, filosofo, matematico esperto di matematica finanziarie e autore del “Cigno Nero” pronunciò questa frase molto interessante:

“Quel che conta non è quanto sia probabile un evento, ma quanto si guadagni o si perda quando quell’evento accade”.

Nobel Laureate, invece, con questa frase ha cercato di far capire agli investitori che in questo mondo ci vuole pazienza, in quanto non c’è spazio per farsi trasportare dalle emozioni:

«Investire dovrebbe essere più come guardare un dipinto asciugarsi o osservare l’erba crescere. Se vuoi delle emozioni,  prendi $800 e vai a Las Vegas».

Queste comunque non sono le uniche frasi famose riguardanti il mondo del trading, in quanto facendo un’analisi approfondita delle dichiarazioni fatte dai più grandi trader internazionali si possono trovare alcuni aforismi molto interessanti. Ecco una selezione degli aforismi che (secondo noi) rappresentano al meglio il mondo del trading e dell’investimento:

“I mercati non sbagliano mai – le opinioni invece molto spesso”.

– Jesse Livermore

“Investire con successo significa anticipare le anticipazioni degli altri”.

– John Maynard Keynes

“In questa attività, se sei bravo, hai ragione sei volte su dieci. Non è mai capitato di avere ragione nove volte su dieci”.

– Peter Lynch

“Il metodo di trading migliore consiste nell’approfittare dell’avidità e della paura della folla”.

– Jimmy Chow

“Non litigate con il mercato, perché è come il tempo: anche se non è sempre buono, ha sempre ragione”.

–Kenneth Walden

USA: Donald Trump non è una sorpresa.

I più potrebbero pensare che l’articolo de L’indro sia stato selezionato per la simpatica correlazione con la fortunata serie I Simpson. In realtà è in questa raccolta per la sua semplicità nello spiegare il fenomeno Trump e i suoi punti punti di forza. Ecco, di seguito, il testo:

da lindro.it

da lindro.it

Parigi – Nel 2000, gli autori de I Simpson con la loro classica ironia e il loro spirito d’osservazione, immaginarono che il miliardario Donald Trump sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti e avrebbe lasciato l’incarico nell’anno 2030. In quell’episodio, intitolato ‘Bart to the future’, Bart Simpson riesce a dare un’occhiata al futuro: nella sua visione sua sorella Lisa sarà eletta Presidente e, dopo la sua elezione, dovrà avere a che fare con una situazione catastrofica conseguente alla fine del mandato del presidente Donald Trump.

Gli autori de I Simpson non sono autori comuni. Scrivono principalmente battute ironiche su due livelli: prima c’è la facciata dello scherzo, poi viene il significato dello scherzo stesso, con marcato sarcasmo, normalmente basato su di una profonda osservazione della società americana e/o di come funziona il mondo. In tutto ciò, i paradossi del nostro tempo e la sua incoerenza forniscono agli autori dei Simpson un’ispirazione fenomenale. La puntata de I Simpson su Donald Trump seguì questo schema perfettamente.

Dato che la Costituzione degli Stati Uniti limita il termine per i Presidenti, un Donald Trump che lascia la Casa Bianca in tempo perché Lisa inizi il suo primo mandato come Presidente nell’anno 2030, avrebbe dovuto essere eletto nell’anno 2020 ed essere rieletto nel 2024. Oppure essere eletto nel 2024 e servire un solo mandato. Se venisse eletto quest’anno, e sta conducendo le primarie repubblicane, in realtà batterebbe questa previsione in anticipo di almeno un mandato presidenziale.

Donald Trump è entrato in corsa per la Casa Bianca sei mesi fa. Da allora si è posizionato come favorito conducendo una campagna solida e aggressiva, di cui ha stabilito i toni e le questioni prioritarie grazie a svariate dichiarazioni tonanti e poco ortodosse.
Trump, che ha alimentato la controversia sul certificato di nascita di Obama nelle elezioni presidenziali del 2012, ha finora condotto una campagna magistrale dal punto di vista del marketing politico, in particolare in termini di risultati ottenuti.

Donald Trump ha preso di mira direttamente i colleghi repubblicani, i democratici, gli immigrati illegali, i messicani e i musulmani e, fin dall’inizio delle primarie, non ha mai smesso di esprimere considerazioni provocatorie, aumentando esponenzialmente la frequenza e la portata dei propri attacchi, ottenendo un riscontro positivo dopo l’altro, che l’hanno incoraggiato verso nuove controversie. Tant’è che oggi è il favorito per la nomina tra i repubblicani. Per le elezioni generali non è stato finora considerato come potenziale vincitore, in particolare perché viene visto da molti come una figura troppo controversa per essere votata. Ma gli restano buone possibilità per smentire quest’analisi, dato che i due potenziali avversari hanno debolezze che potrebbe facilmente capitalizzare visti il suo zelo e la sua aggressività.

Il nome di Hilary Clinton è legato a quello del marito, ex Presidente fortemente estremizzato, dal forte carisma e rispettato da molti americani. D’altro canto, Hilary ha servito come segretaria sotto il Presidente Obama in uno dei momenti più difficili delle ultime decadi per la diplomazia americana e inoltre, la sua attitudine nella campagna del 2008, che la vide rivaleggiare con Obama stesso, potrebbe essere facilmente riportata alla memoria.

Il candidato che conduce le primarie nei Democratici, l’autonominatosi socialista Bernie Sanders, ha condotto una campagna di sorprendente successo nella terra di zio Sam. Ed è una persona molto rispettata. Ma, in America, i socialisti vengono associati all’Unione Sovietica, al Comunismo, a Joseph Stalin e al totalitarismo. Inoltre, le paure di una potenziale presidenza di Bernie Sanders potrebbero turbare i cuori di molti americani che lo confondono per un comunista, in particolare i leader economici americani, mai troppo timidi nell’interferire in politica attraverso il controllo dei media o campagne di donazione diretta, e che non risparmieranno gli sforzi per far crollare la sua candidatura alle elezioni generali. E Donald Trump ha tutta l’intenzione di capitalizzare entrambi questi fattori.

Le attuali elezioni presidenziali USA ruotano attorno a Donald Trump molto più che ad altri candidati o temi. Di fatto, Donald Trump stesso è diventato l’argomento principale di discussione. Oggi la politica americana si pone domande quali: «Chi può sconfiggere Donald Trump se dovesse vincere le primarie?»; «Come guiderà la nazione una volta giunto alla Casa Bianca?”; «Come ha raggiunto l’attuale livello di successo politico?»; «Qual è il potenziale impatto della sua candidatura nella società americana?” e altri quesiti sulla validità delle sue vedute.

Gli autori de I Simpson avevano ragione: un Donald Trump presidente è possibile. E non dovremmo sorprenderci che la sua campagna sia stata così efficace. Da molti punti di vista Donald Trump è nato per raggiungere il successo come candidato alle presidenziali nell’America attuale. È semplicemente perfetto per l’America di oggi.