Banca Etruria e Governo

 

banca etruria arturo di mascio

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Sanzioni per «le carenze di governo e la gestione e il controllo dei rischi con riflessi sulla situazione patrimoniale e carenza di controlli» sono in dirittura d’arrivo per svariati membri del CdA di Banca Etruria. Secondo gli ispettori, ci sono dubbi per duecento milioni di euro nelle ragioni creditorie di Banca Etruria, tra le varie cose. Pierluigi Boschi, all’epoca vicepresidente dell’istituto di credito aretino, è già stato sanzionato nel 2012 con 144 mila euro in quanto membro del consiglio d’amministrazione.

Maria Elena Boschi è accusata dal Movimento Cinque Stelle di conflitto d’interessi per la vicenda delle quattro banche salvate con il decreto Salva banche. «Hanno avuto rapporti professionali e di dipendenza […] In particolar modo Pier Luigi Boschi è stato consigliere di amministrazione e, fino al febbraio 2015, anche vice presidente del medesimo consiglio di amministrazione». Con queste parole il M5S accusa il ministro Boschi di essere in conflitto per via della posizione che il padre Pier Luigi e il fratello Emanuele hanno avuto in seno a Banca Etruria, una delle quattro salvate per decreto: Carife, Carichieti, Banca Marche, Banca Etruria. Il decreto, che va a toccare le azioni e gli obbligazioni dei titolari, non inficia su soldi pubblici. Tuttavia, ciò ha causato perdite ingenti per obbligazionisti ed azionisti, azzerando di fatto i loro titoli. Questo è accaduto anche per diversi soci. Ricorda infatti il ministro, in aula: «possedevo 1.557 azioni di banca Etruria del valore di 1.500 euro. Dopo il decreto il valore di queste azioni è zero, carta straccia. Mio padre possedeva 7.550 azioni, mia madre circa 2.000, i miei fratelli circa 2.300, e anche queste azioni ora valgono zero. Le nostre azioni di famiglia sono state azzerate come quelle degli altri 60 mila azionisti. Né io né i membri della mia famiglia abbiamo comparto o venduto azioni prima o dopo l’emanazione del primo decreto banche popolari di febbraio».

Paolo Cirino Pomicino, ministro del bilancio nella prima repubblica, ha dichiarato oggi a Tagadà: «il governo ha fatto bene a varare quel decreto» onde sanare i precedenti errori di scelta per salvataggi con due pesi e due misure. Ha anche ricordato che un paese liberista come il Regno Unito non ha perso tempo nello spendere anche soldi pubblici per salvare nodi fondamentali per la finanza nazionale come la Royal Bank of Scotland.

Il ministro Maria Elena Boschi, ex azionista di Banca Etruria che non ha partecipato al varo del decreto in oggetto, si è difesa in aula dalle accuse. Il sospetto di pratiche poco trasparenti ai danni degli investitori ha fatto sì che il governo varasse un cosiddetto “fondo di solidarietà” dalla capacità di almeno 100 milioni per risarcire i risparmiatori eventualmente raggirati.

«Con il nostro governo siamo tutti uguali davanti alla legge, ciò è stato dimostrato dai fatti – ha concluso Boschi – auguro a tutti voi di giudicare i fatti per quello che sono, perché la realtà è più forte di ogni strumentalizzazione». Il premier si è addirittura spinto ad affermare che «bisognerebbe fare un monumento» per il decreto salva banche, affermando che si è così potuto evitare un fallimento miliardario con danni per un milione di risparmiatori. A rimetterci sono stati però i titolari delle quattro banche.

Con 373 contrari e 129 favorevoli alla mozione di sfiducia promossa dal Movimento Cinque Stelle, Maria Elena Boschi ha salvato la sua posizione istituzionale.

ARTURO DI MASCIO INCONTRA MONSIGNORE N.H. SANDRO PULIN

IMG-20140917-WA0006 (2)ARTURO DI MASCIO INCONTRA A VENEZIA MONSIGNORE N.H. SANDRO PULIN,

AMBASCIATORE DELLA PACE NEL MONDO DEGLI STATI UNITI.

MONSIGNORE N.H. SANDRO PULIN filantropo di fama internazionale, ambasciatore della pace nel mondo e uno dei più attivi rappresentanti dell’associazione Sogni onlus, che offre ai malati terminali di cancro la possibilità di realizzare il loro desiderio più grande, ad esempio incontrare il loro personaggio famoso più amato.

L’IMPORTANZA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Molto spesso, dai non addetti si parla di commercio internazionale come di una cosa buona solo però quando si compra merce estera a buon prezzo e si vende merce nostrana guadagnando molto. Ma esistono strategie che non vanno in questa direzione, per giusti motivi.

Nel 1776 l’economista scozzese Adam Smith sostenne nel suo libro La ricchezza delle nazioni che la specializzazione porta ad accrescere la produzione. Secondo Smith, per poter soddisfare una domanda crescente di merci le risorse scarse di una nazione devono essere distribuite in modo efficiente nei vari settori produttivi, con preferenza per quei beni che un paese può produrre con minori costi rispetto ai suoi partner commerciali. Ciò consente di esportarne una parte e di importare i beni che i partner commerciali producono a minor costo. Sull’opera di Smith si fonda la scuola economica classica.

Mezzo secolo dopo, l’economista inglese David Ricardo modificò la tesi di Smith introducendo la teoria del “vantaggio di costo relativo o comparato”, ancor oggi accettata da quasi tutti gli economisti. Per gli economisti che precedettero Ricardo, lo scambio diveniva conveniente soltanto nel caso di vantaggi assoluti di costo. Secondo la teoria del vantaggio relativo o comparato, invece, al paese A conviene importare una merce dal paese B – ad esempio, stoffa – a un prezzo maggiore di quello che gli costerebbe produrla al proprio interno, se nella produzione di una seconda merce – ad esempio, vino – il paese A ha, sul paese B, un vantaggio di costo ancora maggiore di quello che ha nella produzione della stoffa; infatti, in questo caso al paese A conviene produrre una minor quantità di stoffa e una maggior quantità di vino e scambiare vino contro stoffa importata dal paese B.

Il risultato finale sarà che il paese A, impegnando le stesse risorse, si troverà con una quantità di stoffa maggiore di quella che avrebbe ottenuto producendola al proprio interno e a un costo minore del prezzo che ha pagato per importarla dal paese B. In breve: un paese che ha un vantaggio di costo in entrambi i prodotti opera “comparando i propri vantaggi” (da qui il nome della teoria) e specializzandosi nella produzione e nell’esportazione di quello in cui il suo vantaggio di costo è maggiore. Se ogni regione si specializzasse nella produzione di beni per i quali ha un vantaggio relativo, verrebbero prodotti dunque più beni e aumenterebbe la ricchezza sia del paese compratore sia del venditore.

Oltre a questo vantaggio fondamentale, il commercio internazionale produce ulteriori benefici economici. Accresce e rende più efficiente la produzione mondiale, consentendo alle popolazioni dei vari paesi di consumare quantità maggiori e più diversificate di prodotti: un paese che possiede limitate risorse naturali è così in grado di produrre e consumare più di quanto potrebbe fare altrimenti. Il commercio internazionale amplia inoltre il numero dei mercati potenziali nei quali un paese può vendere i propri prodotti. L’aumento della domanda internazionale per i prodotti si traduce in un incremento della produzione e dell’uso di materie prime e del lavoro, che a sua volta conduce alla crescita dell’occupazione nazionale. La concorrenza può inoltre spingere le imprese ad accrescere la propria efficienza attraverso la modernizzazione e l’innovazione.

L’importanza del commercio internazionale varia da un paese all’altro: alcuni esportano solamente per espandere il mercato interno o per aiutare economicamente i settori depressi della propria economia, mentre altri dipendono dal commercio per una larga parte del reddito nazionale e per ottenere prodotti destinati al consumo interno. In anni recenti il commercio internazionale è stato anche visto come un mezzo di promozione della crescita economica di una nazione; nei paesi in via di sviluppo e nelle organizzazioni internazionali è stato infatti attribuito un peso crescente agli scambi con l’estero.

Arturo Di Mascio

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RIPRISTINARE L’ANTICO EQUILIBRIO UOMO/NATURA/AMBIENTE, SI PUO’ E SI DEVE.

Leggendo scritti e riscritti di tanti autorevoli giornalisti, scienziati e ricercatori sul tema natura e ambiente, mi è venuto in mente un idea. Certamente non sono stato l’unico ad averla, ma mi va di esporla comunque.

Ebbene, pensavo, perché non creare un punto di riferimento mondiale per la promozione Istituzionale e Imprenditoriale del grande valore che oggi ancor più di ieri riveste il ripristino dell’Antico Equilibrio UOMO/ NATURA/AMBIENTE ?

 

Potrebbe nascere dunque una vera e propria: AMBASCIATA MONDIALE DELLA NATURA

 

E PERCHE’ MONDIALE?

Tale esigenza nasce dal concetto che il Bene Della Terra, va salvaguardato senza considerare frontiere, differenze politiche ed ideologiche e persino la Sovranità dei Singoli Stati.

Gli incidenti come, ad esempio Chernobyl nell’86, minacciano non una singola nazione ma tutto il mondo  nella sua globalità.

Come sostiene il Worldwatch Institute, Istituto internazionale di ricerche ambientali che ha sede negli STATES, il mondo è ammalato  per vederne le condizioni di salute bisogna prendere in esame quelli che gli antichi chiamavano i Quattro Elementi  Fondamentali ovvero Acqua- Terra- Aria- Fuoco.

 

OBBIETTIVI PRIMARI DELL’AMBASCIATA MONDIALE DELLA NATURA:

A tal proposito L’Ambasciata Mondiale della Natura, al di là dei Grandi Eventi e Progetti, Vedi Kyoto- G8 etc vuol essere un Punto d’incontro, coordinamento  fisso e costante, informazione  per tutto ciò che è legato alla situazione Natura   

Concretamente potrebbe trattarsi di creare un efficiente INTERNATIONAL SECTOR  POINT che possa operare stringere un rapporto collaborativo tra le realtà socio politiche economiche (già esistenti e/o nascenti).

 

ISTITUZIONALMENTE: potrebbe rappresentare un organismo di raccordo, coordinamento tra i più importanti e non molto noti organismi internazionali Europei e Trans Europei al fine di promuovere, ottimizzare le risorse istituzionali create per la tutela e valorizzazione nel settore Natura nella totalità dei suoi comparti.

 

SOCIALMENTE : potrebbe operare al fine di sensibilizzare ulteriormente la coscienza ecologica, al fine di proporre un NEW LIFE STYLE, facilmente applicabile nella quotidianità che porti, attraverso un ritorno alla DIMENSIONE UOMO al SISTEMA DI RISPARMIO ENERGETICO, ALL’UTILIZZO DI SOSTANZE ECOCOMPATIBILI etc, ci porti ad un Naturale Innalzamento della Qualità Della Vita.

 

ECONOMICAMENTE. Promuovere un innovativo Sistema Imprenditoriale Ambientale che vuol creare un a FILIERA IMPRENDITORIALE AMBIENTALE EUROPEA che possa:

 

Selezionare, Certificare Mettere in contatto, Partecipare, Promuovere  sia le Grandi sia le Giovani realtà imprenditoriali di settore,

 

Realizzare all’interno della stessa Ambasciata Mondiale della Natura, un innovativo Distretto Natura che rappresenti :

sia uno SHOW ROOM INTERNAZIONALE fisso per le aziende Europee e Transnazionali operanti in tutti i settori ambientali dalla Depurazione, dall’Indoor all’ecotessile

 

sia un INTERNATIONAL RESEARCH AGENCY che ponga in relazione e contatto costante, concreto e diretto, le più valenti realtà imprenditoriali, internazionali con le più importanti  e qualificate Società leaders, Istituti di Ricerca, Università che da  tempo, operano ed interagiscono a carattere mondiale nel settore della ricerca e tecnologia ambientale, partendo per esempio dalle energie rinnovabili.

 

Qualcuno direbbe, tutte belle cose, ma poi funzionerebbe per lo scopo?

Certo, per quanto mi riguarda, se pi io ne farei parte , mi prodigherei con tutte le mie forze per far funzionare questo istituzione proposta, in modo che diventerebbe realmente il motore che azioni il meccanismo per il ripristino dell’Antico Equilibrio UOMO/ NATURA/AMBIENTE.

 

Arturo Di Mascio

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LA POLITICA FA SCHIFO? NO, BISOGNA SOLO CAMBIARE MODO DI FARLA

Bisognerebbe fare molta attenzione a non generalizzare e a non trasmettere la sofferenza interna e la rabbia di noi “adulti” che abbiamo nei confronti di una politica, che negli ultimi anni ha mostrato di se la faccia più indegna è brutta. O meglio, non voglio sbagliare anche io, non tutta la politica, ma una parte di rappresentanti politici che hanno usato, solamente, la macchina pubblica per i propri e delle lobby che rappresentano, loschi interessi affaristici dimenticando che rappresentare i cittadini è prima di tutto un servizio e non un mezzo per riempirsi le tasche rubacchiando qua e là.

Una situazione accentuatasi ultimamente anche per una legge elettorale scellerata che non ha permesso ai cittadini di eleggere il proprio rappresentante direttamente e non ha permesso a chi intendeva rappresentare i cittadini ci farsi conoscere sul territorio per scambiare e raccogliere le opinioni del cittadino.

Ma questo problema, pare si stia risolvendo e sono sicuro che tra mille ostacoli si arriverà a un sistema più democratico di rappresentanza parlamentare.

Quindi stiamo attenti perché ciò che oggi la politica trasmette ai giovani determinerà il futuro di tutti. I ragazzi che oggi mentre studiano, lavorano si appassionano alla politica, magari a tempo perso, domani saranno uomini e donne che governeranno il Paese.

La politica questo lo ha dimenticato. La politica rappresenta il pensiero base sul quale costruire un modello di società, uno stile di vita, la politica è il fulcro degli ideali, la politica nasce dalla passione e dall’amore per la patria, non è un lavoro, lo diventa.

Chi fa politica deve avere come unico desiderio quello di migliorare la qualità della vita dei cittadini, di tutti, senza punire nessuno.

La politica deve trasmettere positività, amore, amore per la libertà, pur avendo una visione obiettiva della realtà. La politica è il mezzo grazie al quale un campo fertile (il Paese) viene arato, ma è importante piantare i semi giusti (le idee).

La responsabilità di ogni politico che si ritenga tale sta nel dare se stesso alla sua terra, con amore, come un bravo contadino lavora il campo, nel presente, per il presente e per il futuro.

Lasciare ai giovani una terra in buone condizioni pronta alla semina, e non terra bruciata. Il raccolto sarà buono, proporzionalmente buono alla qualità dei politici in campo.

I signori politici dovrebbero spendere due minuti del loro tempo non per promettere, offendere o urlare, ma per illuminarci, senza giochi ruba-voti, su quale sia il modello di società che i loro partiti hanno in mente, chiarire se vogliono più o meno stato, chiarire il ruolo del cittadino nei confronti dello stato e dello stato nei confronti del cittadino, “il cittadino che loro hanno in mente”.

Questi punti fondamentali stanno alla base di un rapporto di lealtà, di sincerità, di verità, di cultura, che la politica può e deve avere e trasmettere.

Poi il cittadino libero, è libero di scegliere in base alle proposte e alle risposte che i politici intendono dare ai problemi reali del Paese.

I politici, di qualunque razza siano, debbono essere prima onesti con se stessi altrimenti non potranno mai essere veri con l’elettorato. Logorati dal potere lo hanno dimenticato, ed ora è meglio ricordarselo e si sceglie di far politica, lo si deve fare pensando ai bisogni della gente, di quella collettività di cui si fa parte e di cui fanno parte i nostri figli, i nostri nipoti, i bimbi che verranno e che saranno gli uomini e donne di domani, e che dovranno prendere le redini di una società che noi gli abbiamo preparato.

Arturo Di Mascio

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LA FAME NEL MONDO? DOBBIAMO FARE DI PIU’.

manoMolto spesso, non lo possiamo negare, si butta da mangiare e non pensiamo a quanti bambini e non solo bambini, muoiono nel mondo perché invece a loro manca il minimo essenziale per sopravvivere, o il necessario per non essere malnutriti e quindi subire le conseguenze di malattie devastanti.
Quindi la fame continua ad essere un problema in tutto il mondo. L’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite, ha stimato che oltre 1 miliardo di persone nel mondo sono denutrite ed il numero è in continuo aumento.

Nell’anno 2000 tutte le nazioni del mondo nel quadro delle Nazioni Unite (2000-Obiettivi del Millennio) si sono impegnate a ridurre la povertà della metà entro l’anno 2015, ma a mio giudizio vedo molto più lontano quest’obbiettivo.

 

Uno dei principali problemi di questo triste fenomeno è sicuramente la carestia, che spesso è dovuto principalmente agli eventi climatici e i parassiti dei vegetali.

 

Quindi il troppo caldo e la conseguente mancanza di pioggia, e viceversa la troppa pioggia o le glaciazioni e la distruzione totale dei raccolti a causa di insetticavallettecoccinellecoleotteri (ad esempio la dorifora), e a causa di infezioni di alcuni microrganismi, le “crittogame“, sono tra i principali responsabili della fame nel mondo.

Certo è normale che in un luogo dove ci sono questi problemi, non essendoci produzioni, ne pascoli, e quindi non c’è economia e quindi di conseguenza non c’è sviluppo.

Per mettere fine a questo serio fenomeno, che è, si ricordi bene, “ la fame nel mondo”  si dovrebbe lavorare su più fronti. 1) lavorare per una migliore distribuzione delle risorse alimentari;  2) aumentare le capacità produttive; 3) Una forte e massiccia presa di coscienza dei paesi  più ricchi, parlo di una vera coscienza umana e aiutare in tutti i modi i paesi che soffrono la fame, invece di alimentare le guerre e lo sfruttamento.

L’Expo di Milano 2015 ha come tema principale questo argomento per stimolare una equa distribuzione del cibo.

“Porre fine alla fame nel mondo è un obiettivo raggiungibile da questa generazione se decidiamo di adottare le strategie giuste”, ha detto il Direttore Esecutivo del WFP, Josette Sheeran intervenendo, lo scorso settembre, al National Press Club, a Washington (USA).

Sua Santità, ha detto : “Non si può tollerare che migliaia di persone muoiano ogni giorno di fame, pur essendo disponibili ingenti quantità di cibo, che spesso vengono semplicemente sprecate”.

Interroghiamoci e FACCIAMO PRESTO, d’altronde basta metterci un po’ più di energia e riflettere davvero  su ma cosa abbiamo fatto finora per combattere la fame nel mondo?

A partire dai più ricchi, se rinunciassero a qualcosa, che poi magari rinuncia non è, per donare a chi muore di fame, sarebbe più libera la coscienza.

faoE’ vero ce la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di combattere la malnutrizione nel mondo,  negli ultimi 20 anni ha contribuito a fare  progressi incredibili in questa battaglia, e grazie all’impegno della FAO che ha anche sensibilizzato centinaia di personalità del mondo dello spettacolo, cultura e imprenditoriale si è potuto contenere l’aumento pazzesco del fenomeno, anche dopo alla tremenda crisi economica che stiamo attraversando.

Ma non basta!  Interroghiamoci e FACCIAMO PRESTO, d’altronde basta metterci un po’ più di energia e riflettere davvero  su cosa abbiamo fatto finora per combattere la fame nel mondo?

E dire abbiamo fatto poco. Dobbiamo fare di più.

Arturo Di Mascio

IL SIGNIFICATO DELLA SOSTENIBILITÀ NEL TURISMO

Secondo i casi, il concetto di “turismo sostenibile” è diventato slogan, mito, dogma, facile alibi per l’inazione, pretesto demagogico, marchio commerciale, emblema ideologico o falsa illusione. Affinché non cada nell’impostura, questo termine necessiterebbe urgentemente di una nuova disciplina.

Lo sviluppo si svolge in condizioni di apertura e in uno stato di non equilibrio, è dinamico, non lineare, basato su discontinuità e cicli: ed è in costante cambiamento adattivo. L’aggettivo sostenibile si applica ad un universo statico, lineare, di equilibrio di sistemi chiusi, in uno stato di continuità o di progressione senza grossi scarti, resistente ai cambiamenti.

E non bisogna confondere lo sviluppo sostenibile con uno sviluppo sostenuto, assistito, sotto il palliativo di continue sovvenzioni, che rende ancora più fragile il futuro.

Inoltre, lo sviluppo sostenibile interpreta troppo spesso i bisogni, le aspirazioni e il sistema di valori delle generazioni future sulla base di semplici proiezioni tendenziali della situazione attuale, senza prendere in considerazione l’alta imprevedibilità inerente a sistemi complessi ed aperti e il fatto dell’innovazione come fattore determinante per l’emergenza di nuove risorse. Ma la ragione principale, è che non esiste più nello sviluppo attuale e in un mondo aperto, il classico equilibrio fra popolazioni, risorse e ambiente in un territorio stabile e chiuso che con il concetto di capacità portante, costituisce la base teorica dello sviluppo sostenibile. Popolazioni e risorse migrano entrambe in un mondo la cui caratteristica principale è divenuta la mobilità di ogni elemento e di ogni parametro. I territori si aprono e sono sempre più virtuali, nel senso che corrispondono molto raramente a unità amministrative precise o a zone ecologiche determinate; essi cambiano di natura e di rappresentatività secondo l’uso che è fatto delle loro diverse risorse. I territori attuali sono definiti e configurati dall’intensità delle interazioni funzionali, degli scambi e dei flussi, anche di carattere transnazionale, e sono da questi penetrati in modo e grado variabili spazialmente e temporalmente.

Finalmente il concetto di risorsa è del tutto antropocentrico. E’ una variabile dipendente nel tempo e nello spazio e non esiste se non nella rappresentazione e nella percezione che si ha di essa: questo è soprattutto vero per il turismo. Le risorse, così come i posti di lavoro, concetti associabili tra loro, non sono fissi, predeterminati, da suddividere e da distribuire, ma aumentano con l’innovazione e diminuiscono con la stagnazione.

Lo sviluppo non dipende più quindi dalla disponibilità di risorse naturali e locali, ma soprattutto dalla qualità, dalla responsabilità, dalla competenza e adattabilità delle risorse umane, ciò del resto è molto più stimolante. Anzi, è l’accento messo sulle risorse umane che può diminuire il loro impatto sulle risorse naturali.

Però, il caso del turismo ha delle specificità che rendono la condizione di sostenibilità, la rappresentazione delle risorse e anche il concetto di capacità portante molto originali, sempre che si interpretino in veste pragmatica e non ideologica. In questo senso, il turismo è quasi un prototipo delle tendenze nella nuova società aperta.

In primo luogo il turismo ha in sé i germi per il suo progressivo esaurimento e per la sua saturazione; ha una capacita intrinseca di autodistruggersi, di annientarsi, di degradare l’ambiente dal fatto stesso della presenza turistica, di livellare progressivamente le diversità culturali che creano turismo. E’ il ciclo di vita o il ciclo di trasformazione del turismo. Perché questo ciclo non sia ineluttabile, bisogna che l’uomo intervenga attivamente, coscientemente, costantemente, per aumentare la sostenibilità del turismo, per poterlo far durare nel tempo senza diminuire il suo livello qualitativo per residenti e ospiti. Inoltre, nella rappresentazione dei tre elementi che costituiscono il turismo, popolazioni locali, ambiente locale e turisti, ognuno è nello stesso tempo reciprocamente fruitore e risorsa assumendo così molteplici vesti. Si potrebbe dire che c’è un enorme sovrapposizione nella nicchia funzionale di questi tre elementi. Anche l’ambiente, risorsa sia dei residenti che degli ospiti pur con differenti riflessi, non potrebbe persistere come tale senza la gestione costante da parte della popolazione locale, o senza la capitalizzazione portata dai turisti. Queste sono le risorse di cui fruisce la risorsa ambientale. Ci sono due primi insegnamenti:

1) senza l’intervento dell’uomo non ci può essere sostenibilità, nemmeno per i cosiddetti ecosistemi naturali che hanno subito da tempo l’imprinting dell’uomo e che senza di esso non possono più funzionare;

2) la sostenibilità non può venire da una manutenzione rigida, da una conservazione fissa e non evolutiva, dalla resistenza ai cambiamenti. La sostenibilità dipende dall’attitudine e la disponibilità di adattamento ai cambiamenti. La sostenibilità è costante adattamento. E le tre condizioni essenziali per questo adattamento, le tre muse che lo ispirano, sono l’apertura, la diversità e l’innovazione. Sono anche le tre parole chiave per un turismo sostenibile.

DIAMOCI DA FARE PERCHE’ ALL’ITALIA, FORSE, BASTEREBBE SOLO IL TURISMO PER FARE VOLARE L’ECONOMIA.

Arturo Di Mascio

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TUTTA COLPA DEL DEBITO PUBBLICO?

Le agenzie di stampa battono i nefasti comunicati sul debito pubblico, ed ecco l’ultimo:  – Nel primo trimestre del 2014 in Italia il rapporto tra debito pubblico e Pil è salito al 135,6% dal 132,6% del trimestre precedente.

Nell’Unione europea e nella zona euro in rapporto al Pil il debito pubblico italiano è secondo solo a quello greco, che alla fine del primo trimestre era al 174,1%.

Il governo italiano stima un rapporto debito/Pil al 134,9% basato sulla proiezione di crescita per il Pil dello 0,8%, per quest’anno, ma  Bankitalia nell’ultimo bollettino economico prevede una crescita dello 0,2% dallo 0,7% precedente.

Quindi tragedia economica che si rinnova e si protrae nel tempo. Ma sarà tutto vero?

Sono riusciti a convincerci  che il debito pubblico sia il vero problema di questo Paese?

Guardando, con un pò di attenzione, le nazioni che l’avevano basso all’inizio della crisi economica, a rigor di logica, avrebbero dovuto avere meno problemi..

La Spagna aveva un rapporto fra debito/PIL assolutamente basso: 36,2% nel 2007, 39,8% nel 2008. E quindi perché invece soffre e ha sofferto?

Diciamo le cose come stanno realmente, a mio giudizio, e di tanti autorevoli economisti indipendenti.

Basta dire la frase magica: “il debito pubblico in Italia è troppo alto” e tutti con forte rammarico dicono “si è vero” e giù via con sacrifici, rigore, rinunce, tagli etc.

Ma il vero problema è la perdita di competitività, non il debito pubblico.

Abbiamo un costo del lavoro troppo alto, che ci fa produrre a prezzi non competitivi sia sul mercato estero che su quello interno.

I prezzi salgono, i salari no, anzi spesso diminuiscono.

Allo stesso tempo in Italia peggiorano anche i servizi.

Ma il debito è aumentato anche negli altri paesi, come nella stessa mitica Germania, ma con la differenza che da un lato il governo tedesco tagliava i salari dell’1% annuo e dall’altro lato compensava i lavoratori dandogli sostegno, più istruzione, più case. In questo modo i lavoratori tedeschi non si sono ribellati, non hanno sentito come in Italia tutto il peso della “austerità” e dei tagli lineari.

In Italia invece tagli di spesa nei servizi, nella scuola, nella sanità, aumento delle tasse, attacco ai diritti dei lavoratori, distruzione del ceto medio etc…

Tutto questo porta a un aumento della disoccupazione, ed è brutto ammetterlo ma in Italia da anni si sta cercando di rilanciare la competitività attraverso la disoccupazione, cioè quando c’è forte disoccupazione vi è più disponibilità da parte delle persone a lavorare a minor salario e meno diritti, e chi lavora per non perdere il posto, accetta analoghe riduzioni.

Io credo che pensare di ottenere un aumento di produttività aumentando la disoccupazione sia un suicidio economico, anzi, al contrario, bisogna sostenere le persone, per aumentare il potere d’acquisto, così aumenta la richiesta, l’offerta, e di conseguenza la produzione di beni e servizi. Quindi, far ripartire il ciclo economico produttivo, anche a costo di spendere dei soldi aumentando il debito pubblico.

Il debito pubblico è un’invenzione dei politici e dei banchieri per far  arricchire gli azionisti privati della Banca Centrale italiana e europea.

Prima dell’euro le banche che emettevano denaro lo garantivano con le riserve di oro del tesoro, e quindi  convertivano i soldi in oro e sostenevano un costo di emissione. Oggi, i soldi non sono coperte da riserve di oro, non sono convertibili e il  loro costo di emissione è praticamente zero, ma il guadagno di chi le emette e le vende, ossia il signoraggio bancario, è del 100% del valore nominale.

Pertanto quando lo Stato chiede soldi alla Banca Centrale paga il costo del valore nominale (e non il solo costo tipografico) con titoli del debito pubblico, ossia impegnandosi a riscuotere crescenti tasse dai cittadini e dalle imprese. Tutto ciò avviene attraverso la Banca Centrale Europea, esente da ogni controllo, al disopra delle parti. Dal bilancio della Banca Centrale Europea risulta che nel Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) ci sono circa 50 miliardi di Euro che spettano allo Stato italiano e che il Governo dovrebbe recuperare.

 Ma veniamo al dunque, e vediamo come possiamo abbassare o ripagare il debito pubblico?

Lo Stato dovrebbe fare come il buon padre di famiglia e pertanto quando si hanno debiti, ma anche proprietà, si possono vendere le seconde per ridurre i primi, almeno in parte per rendere il debito accettabile da non creare sofferenza.

Non va bene pensare di rimborsare il debito e pagare gli interessi tramite un ulteriore aumento dell’imposizione fiscale o tagli ai servizi.

L’Italia ha un patrimonio pubblico stimato in 1815 miliardi, ma in realtà il patrimonio è di gran lunga superiore. Alcuni immobili, come ad esempio le palazzine ministeriali, non vengono considerati nelle valutazioni in quanto non concretamente vendibili).

Oltre a tutte le partecipazioni statali, o di intera proprietà che si potrebbero vendere sul serio.

Per non parlare dell’enorme e ingente patrimonio turistico, paesaggistico e culturale che ha un valore quasi inestimabile, che non dico che bisogna vendere ma con una liberalizzazione seria e una gestione affidata a investitori, anche stranieri, porterebbe certamente giovamento.

Bisogna pensare di vendere il patrimonio, e aprire agli investitori nel settore turistico e culturale.

Alcuni dati : gli immobili della pubblica amministrazione hanno un valore di mercato di 420 miliardi, le partecipazioni di 132 miliardi. Valgono 225 miliardi gli immobili dei comuni, 29 quelli delle province, 11 quelli delle regioni e 72 miliardi gli immobili dello stato. (Dati 2011)

Ma a bloccare queste possibilità c’è il fatto che la vendita del patrimonio pubblico con l’acquisto da parte dei privati prevede una grande immissione di liquidità all’interno del sistema economico; è infatti logico che le somme per fare gli acquisti  da parte di imprese private verrebbero richieste alle banche, e cosi  aumenterebbe la moneta in circolazione.

Tutto ciò non piacerebbe però alla BCE una volta finite le immissioni di liquidità a buon mercato.

Ma io lo farei! L’unica cosa è valutare bene la possibilità di vendere una parte consistente del patrimonio pubblico riportando il debito a valori accettabili e poi ripartire con l’indebitarsi, siccome non esistono limiti teorici all’espansione del debito pubblico.

La liquidità derivante dall’emissione di nuovo debito può consentire di rimborsare i titoli in scadenza e pagare gli interessi passivi, nonché finanziare la spesa per creare reddito, occupazione e risparmio, e quindi domanda di titoli pubblici e di conseguenza investimenti, e un nuovo periodo di crescita economica anche se basata sul debito, il quale con una gestione oculata non diventerebbe più pericoloso (Mastricht permettendo).

Arturo Di Mascio

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EURO SI, EURO NO. PARLIAMO DI MARGARET THATCHER

thatcherQuesta settimana vorrei parlare, e non sono certamente il primo, di due pensieri contrapposti sull’euro agli albori della sua nascita. Comincio da quello che a mio giudizio ritengo più autorevole e cioè al pensiero di una personalità che si schierò contro l’Euro e cioè Margaret Thatcher. Nel corso della settimana parlerò di cosa ne pensava e cosa ne pensa oggi, il meno autorevole nostrano Romano Prodi.

Margaret Thatcher sentenziò senza mezzi termini: “l’euro è un pericolo per la democrazia, sarà fatale per i paesi poveri. Devasterà le loro economie” Mentre Romano Prodi sosteneva. “con l’euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più” (ma questa idea sarà da me affrontata in un prossimo articolo).

Va ricordato che nel Regno Unito la Thatcher, la Lady di ferro, adottò provvedimenti per la lotta all’inflazione, con forti aumenti dei tassi di interesse, la riduzione della spesa pubblica, con forti tagli alla spesa sociale, la riduzione delle tasse, le privatizzazioni anzidette, le liberalizzazioni.

Ma questo drastico e forte metodo per l’economia, noto come “thatcherismo”, rilanciò il pil, l’occupazione, ridusse l’inflazione e fu cosi che il regno Unito riuscì a non essere travolto dalla crisi che invece travolse i paesi in zona euro.

Dunque la Thatcher si rifiutò di aderire all’unione monetaria e di cedere quote di sovranità a Bruxelles.

Ella definì l’euro “un pericolo per la democrazia”, non aveva alcuna intenzione di equiparare la democrazia, legata sempre e comunque a l’economia, di Londra con ad esempio Atene.

Dovette per questo affrontare lotte interne al suo partito che la portarono alle dimissioni nel novembre del 1990, dopo 11 anni e mezzo di primo ministro, che addirittura la fecero piangere.

Attacchi speculativi contro la sterlina fecero pensare subito a un grande errore della Thatcher, tanto che la popolazione britannica si tormentava di aver sostenuto in qualche modo l’idea thatcheriana.

Oggi però, la scelta della lady di ferro sembra essere invece rivalutata in positivo. Tanto e vero che anche se l’economia inglese non stia vivendo un periodo di rose e fiori, è stata però tenuta fuori dall’Area Euro e dalle sue disavventure e ciò proprio grazie a Margaret Thatcher e successivamente grazie al successore John Major, che fu suo ministro dell’Economia.

Quindi ricordiamo che Margaret Thatcher La Lady di Ferro non vedeva di buon occhio l’unione politica e burocratica di paesi completamenti diversi in metodi di vivere e cultura, ma credeva nel libero mercato, e di questo ne aveva alimentato le possibilità interne ed esterne al suo Paese.

Con Ronald Reagan aveva progettato e auspicato all’attuazione della globalizzazione economica e finanziaria, quale antidoto allo statalismo e alla sua inefficienza.

Cosa dire? “Ai posteri l’ardua sentenza!”

Io dico che aveva ragione, forse era meglio parlare di un euro come moneta virtuale di scambio, lasciando la sovranità monetaria e valutaria ad ogni stato europeo, ma siccome oggi, bando alle chiacchiere e alla propaganda, non si può uscire dall’euro, bisognerà lavorare per un sistema di sovranità monetaria, di economia globalizzata europea, tenendo conto della realtà in cui vive ogni Paese aderente.

Arturo Di Mascio

http://www.arturodimascio.it

 

WELFARE E SVILUPPO SECONDO ARTURO DI MASCIO

foto (27)Non so se è stato notato, e se non lo fosse stato, desidero sottolineare che fino a questo punto si parla sempre, ma sempre e soltanto di risparmi del deficit corrente, di tanti posti di lavoro e di incremento del PIL. L’esperienza ci ha però insegnato che i piani che rasentano il BEP (punto di equilibrio) si risolvono poi in risultati passivi e che quindi bisogna coniugare più interventi per essere sicuri di raggiungere l’obiettivo.

E qui arriva il punto di richiedere di smetterla con politiche monetaristiche che non fanno che deprimere il Paese, e allontanare la possibilità di un lavoro per i giovani.

 

Per dare lavoro vero, e non mezzi lavori, stages, contratti di formazione e lavoro, etc, ci deve essere sviluppo.

Sviluppo significa creare le condizioni per lo sviluppo che crea poi lavoro.

 

Senza sviluppo non si paga la pensione a nessuno.

Mille che lavorano non potranno mai pagare la pensione a 10.000.

 

Ci vuole sviluppo: il nostro piano vuole creare milioni di posto di lavoro, ma poiché conosciamo il ns. Paese, ben difficilmente il ns. piano che non è supportato da nessuna grande forza politica sarà apprezzato e fatto proprio da qualcuno.

 

Suggerisco allora, che si faccia un decreto “ROTTAMAZIONE” per alcune regioni italiane.

Non voglio rottamare nulla, solo voglio applicare con diligenza alcuni benefici di tassazione ove la situazione lavoro è più grave, ma solo per far guadagnare di più all’Erario. Esattamente come si è verificato per il decreto sulla rottamazione, criticato prima come un regalo alla Fiat e rivelatosi poi come un apportatore di imposte poi (+ 477 miliardi di lire in 5 mesi). Ci vogliono scelte coraggiose e fuori dalla tradizione.

 

In alcune regioni italiane la situazione lavoro è gravissima, ed in più in queste regioni il prodotto interno per abitante è di gran  lunga inferiore alla media nazionale.

Ho considerato di poter riequilibrare la situazione in sette anni. Come?

Con un altro decreto legge:

 

Art. 1  A decorrere dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del presente decreto, alle regioni in cui il Prodotto interno lordo per abitante risulti inferiore del 30% alla media delle 10 regioni con il più alto PIL per abitante, verranno attribuiti i seguenti benefici.

 

A= Ad ogni nuova impresa costituita con qualsivoglia forma societaria che rientri nell’elenco di cui sopra che verrà pubblicato ogni anno a cura della Presidenza del Consiglio, si applicherà un’imposta totale omnicomprensiva sulle persone giuridiche nell’aliquota unica del 27,5%.

B= Gli stipendi ed i salari degli assunti di queste nuove imprese verranno assoggettati ad un’aliquota previdenziale complessiva del 15%, di cui il 12,5% a carico del datore di lavoro ed il 2,5% a carico del lavoratore.

 

Art.2   A tutte le imprese già esistenti sul territorio nazionale alla data di questo decreto, indipendentemente dalla localizzazione geografica, in sede di bilancio annuale potranno considerare in detrazione d’imposta le percentuali calcolate come segue:

Per nuove assunzioni comprese fino al 5% del personale occupato calcolato alla data del 31.12.14 rispetto a quella del 31.12.2013, abbattimento di un punto nel calcolo delle imposte dovute.

Per le nuove assunzioni comprese tra il 5 e il 10%, sconto di due punti.

Tra il 10% e il 12,5%, sconto di tre punti.

Tra il 12,5% ed il 15%, sconto di 4 punti

Tra il 15% ed il 17,5%, sconto di 5 punti. Tra il 17,5% ed il 20.00%: sei punti.

Oltre il 20,00% sconto di 7 punti.

Per esemplificare: un’impresa che avesse avuto alla dichiarazione annuale dei redditi, una forza lavoro complessiva di 65 unità, ove incrementi nel corso dell’anno successivo questo numero di altri 18 lavoratori, registrerebbe un incremento di organico pari al 27,69% ed avrebbe diritto ad applicare una riduzione di 7 punti dalle normali aliquote IRPEG.

Per nuove assunzioni si intendono quelle riferentesi a lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato nelle categorie normali previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro, e quindi con esclusione dei rapporti di formazione o di stage.

 

Quale Cassandra potrebbe affermare che l’Erario ci rimetterebbe?

Una aliquota unica bassa  sta facendo la fortuna di una serie di Paesi, (Regno Unito 19%, Repubblica di San Marino 17%, Svizzera 24%,  che intelligentemente hanno capito che il  51% di zero è sempre zero, mentre, come nella ns. proposta, il 27,5% di qualcosa è sempre qualcosa.. La stessa Germania sta guardando con interesse la flat tax.

C’era un Partner europeo, l’Irlanda, che partita in condizioni peggiori dell’Italia, ha oggi quasi tutti i conti in ordine ed è divenuta in più la capitale europea dell’high tech. Grazie a che cosa? Ad una tassazione  media sui profitti del 12%.

C’è un concetto, quello del villaggio globale, che sfugge ai nostri “ragionieri” del fisco ed è sfuggito alla sinistra e ai sindacati. Lo slogan lavorare meno per lavorare tutti nella attuale realtà italiana può essere tradotto: lavorare meno per non lavorare più.

 

Noi non dobbiamo piangere per i conti dell’INPS! Dobbiamo piangere perché non c’è lavoro per i ns. figli e non c’è lavoro per i nostri figli perché la Repubblica spreme il lavoratore dipendente come un limone. Spremi oggi, spremi domani, chi può se ne va in pensione MA chi resta a lavorare per pagare la pensione a quelli i cui contributi versati sono stati bruciati dalla cassa integrazione, dai pensionamenti anticipati, dai coltivatori diretti?

 

DOBBIAMO capire che non serve avere un costo del lavoro più alto che a Montecarlo? DOBBIAMO capire che tutti i ns. industriali che vogliano continuare a stare sul mercato, dovranno per costrizione portare le loro lavorazioni all’estero!

E così le evasioni ci saranno sempre, evasioni di tecnologie nostre,evasioni di nostri prodotti, evasioni di personale evasioni di miliardi di euro nascosti in Italia e miliardi portati all’estero; non sarà certo uno scudo fiscale a risolvere un problema, non può una goccia d’acqua pulita sanare un mare inquinato….pochi in paragone entreranno e tanti se ne spenderanno in attività giudiziarie, di polizia, controllo, accertamenti, lotta alla prevenzione, casi con il fisco spesso portati in aule di tribunali, ect ect

 

Ed allora portiamogli l’estero in casa:

1 per chi è tradizionale e mi riferisco alle PMI (piccole medie imprese) facciamo installare le loro nuove aziende nelle zone ove il PIL procapite è più basso, e facciamo pagare ai nuovi assunti un’aliquota molto bassa;

2 per chi è industriale italiano e per qualsiasi azienda ESTERA, creiamo una ZONA FRANCA

 

Arturo Di Mascio