Nonostante la paventata crescita del PIL al 3,4 %, i consumatori sono pronti a fare delle rinunce nelle spese generali pur di salvaguardare la qualità della spesa alimentare, con l’inflazione che corre al +6,7% su base annua.
Oltre il 60% delle persone ha una cognizione realistica della situazione che stiamo vivendo e individua le motivazioni principali nell’aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi energetici assieme allo scoppio del conflitto in Ucraina, mentre solo il 10% associa la crescita dell’inflazione alle conseguenze della pandemia Covid.
Sono soprattutto persone tra i 55 e i 64 anni (24%) e le coppie con bambini piccoli (30%) a porre i ristoranti in cima alla lista delle spese da tagliare, mentre i giovani si dicono disposti a rinunciare più a scarpe e vestiti (24%) e viaggi (21%) che ai consumi fuori casa (solo 19%). In generale, comunque, per quasi la totalità del campione emerge l’intenzione di salvaguardare il budget destinato alla spesa alimentare per il consumo domestico.
Quasi tutte le famiglie temono un aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità, e le ipotesi di riduzione dell’Iva finora ipotizzati dal Governo.
Per una famiglia media, l’azzeramento dell’Iva al 4% su tutti i Prodotti alimentari e le bevande analcoliche, comporterebbe una minor spesa pari a 90 euro su base annua (90 euro e 3 cent).
Io credo che più consistente l’effetto di una riduzione dell’Iva dal 10 al 5% per carne e pesce, che determinerebbe un risparmio a famiglia pari a 54 euro e 62 cent per la carne e 23 euro e 48 cent per pesce e prodotti ittici, per un totale di 78 e 10 cent. In ogni caso, anche ipotizzando l’intervento più consistenze, ossia cancellazione dell’Iva al 4% su tutti i prodotti alimentari e abbassamento dal 10 al 5% per carne e pesce, il risparmio complessivo sarebbe pari a 168 euro e 13 cent, un importo inferiore ai 200 euro a famiglia previsti con il bonus.
Pertanto potrebbe essere ipotizzabile sia il taglio dell’IVA che lasciare il bonus alle persone che non hanno redditi certi e a quelle comunque più povere.
E’ facile capire che più sono i soldi circolanti nelle tasche delle famiglie, più è alto il potere d’acquisto, che appunto indica sia il valore di una moneta attraverso cui è possibile acquistare beni e servizi con una sua unità, sia la capacità del consumatore di acquistare beni e servizi essendo in possesso di un determinato reddito.
Da cui si deduce che il potere d’acquisto è influenzato da due fattori: l’andamento dei prezzi al consumo e dal reddito personale. Ed è da qui che ripartono i consumi, la richiesta, l’offerta e l’economia di tutti che darebbe fiducia ai consumatori da far tornare molti al pensiero di sposarsi e creare famiglia.
Nuove famiglie, nuove case, mobili, spesa, figli etc. che farebbero ripartire qualsiasi economia democratica.
Arturo Di Mascio – Economista
pubblicato da https://finanzainternazionalenews.wordpress.com/2022/07/31/ridare-potere-dacquisto-alle-famiglie-per-riempire-meglio-il-carrello-della-spesa-e-non-solo/