Le agenzie di stampa battono i nefasti comunicati sul debito pubblico, ed ecco l’ultimo: – Nel primo trimestre del 2014 in Italia il rapporto tra debito pubblico e Pil è salito al 135,6% dal 132,6% del trimestre precedente.
Nell’Unione europea e nella zona euro in rapporto al Pil il debito pubblico italiano è secondo solo a quello greco, che alla fine del primo trimestre era al 174,1%.
Il governo italiano stima un rapporto debito/Pil al 134,9% basato sulla proiezione di crescita per il Pil dello 0,8%, per quest’anno, ma Bankitalia nell’ultimo bollettino economico prevede una crescita dello 0,2% dallo 0,7% precedente.
Quindi tragedia economica che si rinnova e si protrae nel tempo. Ma sarà tutto vero?
Sono riusciti a convincerci che il debito pubblico sia il vero problema di questo Paese?
Guardando, con un pò di attenzione, le nazioni che l’avevano basso all’inizio della crisi economica, a rigor di logica, avrebbero dovuto avere meno problemi..
La Spagna aveva un rapporto fra debito/PIL assolutamente basso: 36,2% nel 2007, 39,8% nel 2008. E quindi perché invece soffre e ha sofferto?
Diciamo le cose come stanno realmente, a mio giudizio, e di tanti autorevoli economisti indipendenti.
Basta dire la frase magica: “il debito pubblico in Italia è troppo alto” e tutti con forte rammarico dicono “si è vero” e giù via con sacrifici, rigore, rinunce, tagli etc.
Ma il vero problema è la perdita di competitività, non il debito pubblico.
Abbiamo un costo del lavoro troppo alto, che ci fa produrre a prezzi non competitivi sia sul mercato estero che su quello interno.
I prezzi salgono, i salari no, anzi spesso diminuiscono.
Allo stesso tempo in Italia peggiorano anche i servizi.
Ma il debito è aumentato anche negli altri paesi, come nella stessa mitica Germania, ma con la differenza che da un lato il governo tedesco tagliava i salari dell’1% annuo e dall’altro lato compensava i lavoratori dandogli sostegno, più istruzione, più case. In questo modo i lavoratori tedeschi non si sono ribellati, non hanno sentito come in Italia tutto il peso della “austerità” e dei tagli lineari.
In Italia invece tagli di spesa nei servizi, nella scuola, nella sanità, aumento delle tasse, attacco ai diritti dei lavoratori, distruzione del ceto medio etc…
Tutto questo porta a un aumento della disoccupazione, ed è brutto ammetterlo ma in Italia da anni si sta cercando di rilanciare la competitività attraverso la disoccupazione, cioè quando c’è forte disoccupazione vi è più disponibilità da parte delle persone a lavorare a minor salario e meno diritti, e chi lavora per non perdere il posto, accetta analoghe riduzioni.
Io credo che pensare di ottenere un aumento di produttività aumentando la disoccupazione sia un suicidio economico, anzi, al contrario, bisogna sostenere le persone, per aumentare il potere d’acquisto, così aumenta la richiesta, l’offerta, e di conseguenza la produzione di beni e servizi. Quindi, far ripartire il ciclo economico produttivo, anche a costo di spendere dei soldi aumentando il debito pubblico.
Il debito pubblico è un’invenzione dei politici e dei banchieri per far arricchire gli azionisti privati della Banca Centrale italiana e europea.
Prima dell’euro le banche che emettevano denaro lo garantivano con le riserve di oro del tesoro, e quindi convertivano i soldi in oro e sostenevano un costo di emissione. Oggi, i soldi non sono coperte da riserve di oro, non sono convertibili e il loro costo di emissione è praticamente zero, ma il guadagno di chi le emette e le vende, ossia il signoraggio bancario, è del 100% del valore nominale.
Pertanto quando lo Stato chiede soldi alla Banca Centrale paga il costo del valore nominale (e non il solo costo tipografico) con titoli del debito pubblico, ossia impegnandosi a riscuotere crescenti tasse dai cittadini e dalle imprese. Tutto ciò avviene attraverso la Banca Centrale Europea, esente da ogni controllo, al disopra delle parti. Dal bilancio della Banca Centrale Europea risulta che nel Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) ci sono circa 50 miliardi di Euro che spettano allo Stato italiano e che il Governo dovrebbe recuperare.
Ma veniamo al dunque, e vediamo come possiamo abbassare o ripagare il debito pubblico?
Lo Stato dovrebbe fare come il buon padre di famiglia e pertanto quando si hanno debiti, ma anche proprietà, si possono vendere le seconde per ridurre i primi, almeno in parte per rendere il debito accettabile da non creare sofferenza.
Non va bene pensare di rimborsare il debito e pagare gli interessi tramite un ulteriore aumento dell’imposizione fiscale o tagli ai servizi.
L’Italia ha un patrimonio pubblico stimato in 1815 miliardi, ma in realtà il patrimonio è di gran lunga superiore. Alcuni immobili, come ad esempio le palazzine ministeriali, non vengono considerati nelle valutazioni in quanto non concretamente vendibili).
Oltre a tutte le partecipazioni statali, o di intera proprietà che si potrebbero vendere sul serio.
Per non parlare dell’enorme e ingente patrimonio turistico, paesaggistico e culturale che ha un valore quasi inestimabile, che non dico che bisogna vendere ma con una liberalizzazione seria e una gestione affidata a investitori, anche stranieri, porterebbe certamente giovamento.
Bisogna pensare di vendere il patrimonio, e aprire agli investitori nel settore turistico e culturale.
Alcuni dati : gli immobili della pubblica amministrazione hanno un valore di mercato di 420 miliardi, le partecipazioni di 132 miliardi. Valgono 225 miliardi gli immobili dei comuni, 29 quelli delle province, 11 quelli delle regioni e 72 miliardi gli immobili dello stato. (Dati 2011)
Ma a bloccare queste possibilità c’è il fatto che la vendita del patrimonio pubblico con l’acquisto da parte dei privati prevede una grande immissione di liquidità all’interno del sistema economico; è infatti logico che le somme per fare gli acquisti da parte di imprese private verrebbero richieste alle banche, e cosi aumenterebbe la moneta in circolazione.
Tutto ciò non piacerebbe però alla BCE una volta finite le immissioni di liquidità a buon mercato.
Ma io lo farei! L’unica cosa è valutare bene la possibilità di vendere una parte consistente del patrimonio pubblico riportando il debito a valori accettabili e poi ripartire con l’indebitarsi, siccome non esistono limiti teorici all’espansione del debito pubblico.
La liquidità derivante dall’emissione di nuovo debito può consentire di rimborsare i titoli in scadenza e pagare gli interessi passivi, nonché finanziare la spesa per creare reddito, occupazione e risparmio, e quindi domanda di titoli pubblici e di conseguenza investimenti, e un nuovo periodo di crescita economica anche se basata sul debito, il quale con una gestione oculata non diventerebbe più pericoloso (Mastricht permettendo).
Arturo Di Mascio